«Queste piante sai come si chiamano? "Muruddri", sono tossici, non li mangia nessun animale, si usavano per infilare i “profichi” per la caprificazione».
Cosimo Stanca, 79 anni e contadino da sette generazione, ci accompagna nel suo orto tra zucchine, pomodori, cipolle, alcune piante di cece di quello nostrale, piccolo e sferico. Siamo in zona “Scunci”, a Soleto (LE), una zona secca, arida, dove «tutto arriva in anticipo».
L’orto è interamente condotto senza acqua, perché qui non ci sono pozzi. Nonostante tutto le piante di zucchina sono rigogliose, piantate da lui a partire da semi tramandati da generazioni. Le foglie sono larghe di un verde uniforme. I frutti sono corti, lievemente rigati, con fiori grandi.
Le cicorie «“mascialure o otrantine” - continua Cosimo - non fanno la “rosa” come quelle di Galatina, ma “schiattuni” ovvero germogli che vengono raccolti man mano».
Le cipolle invece provengono dal vivaio. «La varietà nostra non la trovi più. Erano più o meno come quelle di Margherita di Savoia, con tante “cosche” (cioè i catafilli, ndr) che i contadini accompagnavano al pane, sfogliandole piano piano».
Secondo Cosimo, una specialità di Soleto erano la sulla e i lupini, perché nelle terre poco produttive erano utili per la rotazione delle colture e come cibo per gli animali. In effetti tutta l’area della Grecìa salentina è particolarmente votata alla produzione di legumi.
Cosimo ci porta a vedere una dolina al centro del campo, non si sa se di origine naturale o antropica: «Gli anziani dicevano che serviva per macerare il lino. Ma questo prima, adesso si è perso tutto, qui per esempio lungo la strada ci sono sei, sette varietà di fichi. Adesso si è tutto perso».
Continua la passeggiata verso le piante di meloncelle. Tonde, di colore verde uniforme, molto diverse da quelle che egemonizzano il mercato negli ultimi anni. «A Corigliano usano quella nera – dice Cosimo – noi abbiamo questa». Si tratta di varietà a forte rischio di estinzione, perché il mercato richiede soltanto quella fasciata. Tutte le “Meloncelle tonde” sopravvivono negli orti solo per affezione e per l’impegno di piccoli contadini.
I pomodori sono invece della varietà denominata “leccese”: «Fa la pianta alta e non defoglia, quindi quando fa il caldo estremo non li danneggia. Il seme ha almeno novant’anni, me lo ha dato mio cugino».
Altro piccolo tesoro sono i 'Fagioli piattello', sempre condotti in aridocoltura. «Questi sono i fagioli nostri, prima si coltivavano questi».
Cosimo ci saluta concludendo la nostra conversazione con la considerazione che l’agricoltura è cambiata, che «prima qui erano giardini, adesso abbiamo abbandonato tutto. Prima dei diserbanti qui cantavano le rane, poi abbiamo distrutto tutto».
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