Il genere Opopanax W.D.J. Koch è afferente alla famiglia delle Apiaceae, distribuito in tutta la regione mediterranea. Comprende solo tre specie riconosciute e ben definite:

  1. Opopanax chironium W.D.J. Koch, con due sottospecie:
    Opopanax chironium subsp. chironium;
    Opopanax chironium subsp. bulgaricum (Vel.) N.Andreev;
  2. Opopanax hispidus (Friv.) Griseb.;
  3. Opopanax persicus Boiss.

Erbacea perenne, alta fino a tre metri in altezza. Radice carnosa composta da un grosso rizoma, lungo fino a 60 cm, da cui sgorga un latice resinoso di color giallo oro.
Fusto cilindrico di 1-3 cm di diametro, eretto, striato, con rami opposti che nella parte acroscopica formano rami verticillati irti di peli alla base (è ruvido al colletto) e glabri verso l’apice.
Le foglie basali misurano da 50 a 80 cm, sono coriacee, bipennatosette, con lobulo basale, segmenti ovali e contorno triangolare, margine crenulato (3-5 x 5-8 cm) e con guaina di 2-5 cm. Picciolo lungo, 18 cm punteggiato di peli squamosi (1-2 mm). Le foglie del primo ordine sono di 20 (35) cm e con 5-7 segmenti a base cordata o cuoriforme, attenuati alla base, con presenza di peli sulle nervature e con margine ialino.
Foglie cauline man mano ridotte verso l’apice con meno segmenti e guaina più piccola.
Infiorescenza a ombrella panicoliforme, glabra, portante (5)7-10 (20) raggi, non tutti di misura uguale, con uno scarto di ± 4 cm.
Ha brattee lanceolate, da 1 a 3, di circa 7 mm; bratteole 2-5 (6), lineari.
I fiori sono da 6 a 25 per ombrella; petali di 1 mm, suborbicolari, di colore giallo e con margine revoluto. Lo stilo misura 1-1,5 mm di forma arcuata o ± riflessa.
Il frutto è un poliachenio con mericarpi molto compressi 5x7 (9) mm e anche lievemente convessi, con ali laterali più chiare di 0,4-0,7 mm, solcati da coste dorsali poco sporgenti e 1-3 vitte (tubi o canali secretori) per vallecola (solco compreso tra due coste).

Forma biologica: emicriptofita scaposa, H scap. Pianta perennante per mezzo di gemme poste a livello del terreno e con asse fiorale allungato, spesso privo di foglie.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.

Dello stesso genere in Italia vegeta Opopanax hispidus (Friv.) Griseb.: la sua presenza non è ancora accertata.
Quest’ultima specie presenta segmenti di forma lanceolata più lunghi che larghi; inoltre, i petali sono di color arancio e il frutto ha un’ala laterale di 1,5 mm.

La pianta prospera in climi caldi come Italia, Grecia, Turchia, Iran e Somalia, ma cresce anche in climi più freddi. Alcuni considerano quella coltivata in climi più freddi [1] di qualità inferiore.
Il suo areale è limitato alle coste mediterranee - area dell’olivo.
È specie a distribuzione stenomediterranea presente nell’Italia centro-meridionale e in Liguria. Si trova ai margini di boschi maturi di cerri e roveri, in incolti aridi, pascoli e siepi, su suoli arenacei piuttosto freschi, mediamente profondi e umiferi, al di sotto della fascia montana superiore (0-1800 m s.l.m.).
La pianta è oggi considerata tossica, ma in passato era molto utilizzata. Le specie di questo genere, con i tipici fiori gialli, sono ben note nella medicina tradizionale e consumate come cibo.

Da questa pianta si estrae una resina gommosa di consumo, chiamata proprio opopanax o gommoresina: si taglia uno stelo alla base e si lascia essiccare al sole il liquido giallo-dorato che ne fuoriesce, che diventa rosso-giallastro. Coagulandosi, produce dei granuli fragili, ancor oggi utilizzati in profumeria e per produrre incensi. Ha un odore forte e sgradevole (spesso le persone trovano il suo sapore acre e amaro), a differenza dell’opopanax utilizzato in profumeria, che è aromatico. [2]
La resina può essere bruciata come incenso per produrre un profumo simile al balsamo e alla lavanda. Questa resina è stata a lungo utilizzata nel trattamento degli spasmi [3] e, in precedenza, come emmenagogo, nel trattamento dell’asma, delle infezioni viscerali croniche, dell’isteria e dell’ipocondria. [4] È anche utilizzato nella produzione di alcuni profumi.
La resina di opopanax è venduta di frequente in pezzi irregolari essiccati, anche se non sono rare le gemme a forma di lacrima.

Il nome generico richiama quello della panacea degli antichi: deriva infatti dal latino opopanăx, con radice greca di ὀπός = “succo (di verdura)” + πάναξ = “panacea” in allusione all'uso che ne facevano Greci e Latini per guarire talune malattie, oggi usato per indicare un rimedio per tutti i mali.
L’epiteto della specie è riferito al centauro Chirone, l’iniziatore della medicina con le erbe. Per alcuni, potrebbe derivare dal termine dotto greco χειρός che, tradotto in latino, sta per chiro e significa “mano”.

I nomi comuni in italiano sono: erba costa in Toscana, erva basiliscu in Sicilia, erva costa in Sicilia; fargolazza a Barletta; filastrino o firrazolu a Prizzi in Sicilia, opopanide, opoponace o opoponaco in Toscana. Anticamente era chiamato pseudocosta.
Tedesco: Gummiwurz (letteralmente “erba della gomma”); Cheiron-Heilwurz (“l’erba curativa di Chirone”); Panaxpflanxe (“pianta panace”, intendendo “pianta panacea”).
In inglese è chiamata Hercules-all-heal, “Ercole che cura tutto”.
In spagnolo è chiamata pánace.

Precedenti studi fitochimici e di bioattività hanno rivelato che il genere Opopanax produce prevalentemente cumarine, diterpeni, fenoli e ftalidi e possiede varie proprietà biologiche e farmacologiche, tra cui attività antitumorali, antiossidanti e antimicrobiche. Il profilo fitochimico e le attività farmacologiche del genere Opopanax potrebbero essere utili per ulteriori studi e potrebbero trovare ulteriori applicazioni medicinali nella fitoterapia.

Le radici della pianta, per la presenza di furano- e dihydro-furano-cumarine sono oggi considerate tossiche. Tale principio, tuttavia, è stato sperimentato in alcune terapie chemoterapiche per indurre l’apoptosi (regolazione della morte di alcune cellule a vantaggio di altre).
Incidendo la pianta alla base, si ottiene la fuoriuscita di una sostanza resinosa - quella che viene chiamata con lo stesso nome generico della specie, opopanax - che chimicamente è la “gommoresina”, di colore rosso giallastro. Coagulandosi, questa resina gommosa produce dei granuli fragili, che trovano ancora oggi uso oltre che in medicina anche in profumeria e per la preparazione di incensi.
Da notare che le sperimentazioni mediche in ambito chemoterapico sono state effettuate con gommoresina raccolta da piante in Sicilia e in Sardegna: le sostanze apoptotiche, pur simili, hanno dimostrato di agire in modo diverso sulle cellule leucemiche.

In merito agli utilizzi in profumeria e come incenso, il termine Opopanax evoca confusione in farmacognosia a causa dell’esistenza di tre prodotti diversi con lo stesso nome, che sono in uso in profumeria, come medicinale amaro disponibile in commercio, e come la già citata gommoresina.
Una gommoresina ottenuta da Commiphora erytraea var. glabrescens Engler, un albero endemico del Corno d’Africa, viene utilizzata nell’industria profumiera come opopanax, e non va confusa con le specie di Apiaceae.

Il bursa-opopanax o bisabol-mirra è un opopanax disponibile in commercio, mentre il cosiddetto umba-opopanax, un prodotto medicinale amaro, non è disponibile sul mercato come prodotto commerciale. Questo opoponax non ha un odore dolce e bruciante come quello di O. persicus Boiss., di origine persiana.

La definizione ambigua degli scrittori antichi rende impossibile definire l’origine esatta del cosiddetto “vero opopanax”. È però certo che la “gommoresina di Opopanax” è citata da autori greci e latini in scritti scientifici di medicina, ed era probabilmente ottenuta da varie piante della famiglia delle Apiaceae, tra cui Ferula, Peucedanum, Laserpitium e anche Heracleum, oltre naturalmente a O. chironium e O. hispidum.

Nella Flora della Turchia è anche rappresentato da tre specie come sopracitate: O. chironium (sinonimo Laserpitium chironium L.); O. hispidus (sinonimo Pastinaca opopanax L., Ferula hispida Friv., Pastinaca hispida (Friv.) Fenzl, O. orientale Boiss.) e O. persicus (sinonimo O. armeniacum Bordz).
Il genere è specificatamente caratterizzato per la presenza di vitte sulle superfici dorsali e commisurali dei suoi frutti, che contengono oli essenziali e lo caratterizzano quindi come pianta aromatica.
O. hispidus è pianta perenne, ampiamente distribuita nel sud della penisola balcanica, nella regione egea, nell’Italia meridionale e in Sicilia. O. chironium è invece pianta indigena del Mediterraneo occidentale.

Dioscoride la descrive come segue: 

«Panakes cheironion - cresce principalmente sul monte Pelius. Ha foglie simili all’amaraco (dittamo bianco), fiori dorati e una radice sottile e poco profonda dal sapore pungente. Assunta in una bevanda, la radice è in grado di agire contro il veleno dei serpenti; e i filamenti vengono applicati efficacemente anche per gli stessi scopi.» [5]

Nel suo De Materia Medica, presenta anche una ricetta:

«Oinos panakites - metti un’oncia di panax (opopanax) in quattro litri e mezzo di mosto per diversi mesi, quindi versalo in un altro barattolo. È buono per le convulsioni, le ernie, le contusioni e l’ortopnea (una forma di asma); riduce lo spessore della milza ed è buono per la contrazione, la sciatica e la digestione lenta. Espelle il flusso mestruale ed è buono per l’idropisia e per coloro che sono stati morsi da creature velenose.» [6]

Viene registrato nella medicina popolare come espettorante e antispasmodico.
O. persicus differisce da O. hispidus per la lamina fogliare glabra e il frutto più corto e strettamente ellittico.
Oltre alle tre specie accettate sovracitate, ci sono anche alcune specie “irrisolte” incluse nel genere, come O. armeniacus Bordz, O. armenus Fisch e C.A. Mey. ex Bordz, O. chironius Guss., O. glabrus Bernh., O. hispidium Griseb., O. horidus Miq. ex Dippel, O. orientalis Boiss, O. siculus A. Huet ex Nyman e O. syriacus Boiss.
Più recentemente, sebbene una nuova specie, O. bulgaricus Velen., sia stata citata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, sono disponibili troppo poche informazioni su questa specie per considerarla una vera specie afferente al genere.

Quanto agli usi tradizionali, il fusto, le foglie e l’infiorescenza di O. hispidus erano utilizzati come antisettico nella medicina popolare iraniana. In Turchia, la specie è conosciuta localmente come kekire nella zona orientale. In altre zone è conosciuta come çördükin e questo termine ha dato nome a diversi villaggi (com’è accaduto con altre Apiaceae, si pensi a Maratona e Maratea da Foeniculum vulgare e a Selinunte per Petroselinum).

La medicina popolare turca descrive un’ampia varietà di applicazioni di questa specie, sia come medicina che come cibo. Ad esempio, gli steli mangiati freschi sono usati per curare l’infertilità nelle donne. Le foglie in polvere sono assunte per curare le emorroidi per uso interno, una o due volte al giorno. La pianta è anche registrata in un elenco di piante dal distretto di Canakkale per il trattamento delle emorroidi.

Gli abitanti del Monte Ida la consumano, come usanza della tradizione, durante l’inverno.
I giovani germogli e le foglie vengono cotti con il latte; le foglie giovani vengono cotte e mescolate con lo yogurt. I giovani germogli vengono anche preparati come pietanza principale, a mo’ di asparagi (pietanza chiamata muğla).
A Erzurum, Malatya e Muğla gli steli giovani della pianta vengono consumati freschi dopo averli “sbucciati” (come faremmo noi con il sedano). A Malatya vengono utilizzati fermentati o per farne sottaceti.
In quasi tutta la regione dell’Egeo, O. hispidus, chiamato kaymak otu, è una delle piante selvatiche commestibili e viene tradizionalmente utilizzata come verdura e in tisana.
In generale, in Turchia è utilizzata pressoché ovunque come alimento e spezia: del resto, è noto da tempo immemore che O. chironium ha proprietà medicinali.
Già nei testi tradizionali iraniani di medicina (Al-Abniah'anHaqaeq al Adwia, Canone, Al-Hawi, Makhzan ul-Adwia e Tuhfat al-Mu'minin), O. chironium è prescritto per curare l’epilessia nei bambini, e anche Dioscoride nei suoi testi la cita come antipiretico.
Ancor oggi questa specie è uno degli ingredienti principali di Habb al-Sheitaraj, una compressa utilizzata per la neuropatia sensoriale. È anche l’ingrediente principale della Ayarej-e Jalinus, una sostanza medicinale mescolata con miele o altro dolcificante, utilizzata per gli stessi scopi nel Canone persiano di medicina.
I rami danneggiati e le radici ingrossate causano l’essudazione di lattice giallastro che ha un profumo di liquirizia piacevole e permanente. A causa delle proprietà velenose, gli animali si tengono lontani dalla pianta. Solo una letteratura molto vecchia ha menzionato la velenosità della pianta, indicando che la parte resinosa era utilizzata tradizionalmente nella guarigione di molte malattie. Di conseguenza, Opopanax è pianta commestibile. In molti scritti non viene specificato quali parti della pianta vengono utilizzate, mentre nella maggior parte delle opere è indicato che le parti aeree sono state utilizzate per molte applicazioni.

Le analisi di laboratorio in epoche recenti hanno dimostrato che la specie è una buona fonte di diverse cumarine e di ftalidi bioattivi che mostrano potenziali attività antitumorali, antiossidanti, antimalariche e antimicrobiche, giustificando alcuni dei suoi usi tradizionali medicinali e culinari contro vari disturbi. Gli oli essenziali e altri componenti sono segnalati nella produzione di profumi. [7]

La gommoresina dell’opopanax ricorda l’assafetida o assa fetida, una resina estratta dalla radice di alcune piante appartenenti al genere Ferula. Caratterizzata da un aroma intenso e pungente, con note di aglio e cipolla, ha un sapore deciso e un po’ amaro. È ampiamente utilizzata come spezia in cucina, soprattutto nella cucina indiana e mediorientale, per aggiungere sapore e profondità in particolare a piatti vegetariani e vegani.
Con la sua storia millenaria come ingrediente fondamentale in molte culture culinarie, l’assafetida è una scelta ideale per arricchire le ricette.
È estratta da Ferula assa-foetida L., chiamata anche finocchio fetido, concime del diavolo o sterco del diavolo, e come Opopanax è afferente alle Apiaceae, e originaria della Persia (Iran).
Deriva dal termine persiano razin, “resina”, e dal latino fetida, aggettivo che ne descrive l’intenso e sgradevole odore. Una volta cotta, conferisce ai preparati un aroma simile a quello dell’aglio. L’utilizzo dell’assafetida era diffuso nell’intera area mediterranea fin dall’epoca romana se non prima, e dopo il Medioevo il suo utilizzo sparì letteralmente dalle cucine europee.

La polvere di assafetida, ricavata dalla resina della radice della pianta (come dell’Opopanax si estrae dal colletto) è molto utilizzata nella cucina indiana; solitamente viene grattugiata al momento per mantenere meglio l’aroma e per la sua maggior purezza e qualità (la polvere già grattugiata spesso contiene anche altri ingredienti, anche per la conservazione).
Il suo gusto ha un forte sentore di zolfo, che tende a diminuire con la cottura, che la rendono poco appetibile a chi non è abituato. Ha un aroma simile all’aglio, ma molto più speziato, con un vago sentore simile a quello del pepe nero. Viene utilizzata principalmente in ricette a base di verdure e riso, in minor parte in stufati di carne o pesce, e qualche volta viene aggiunta anche a salse a base di ghee (burro chiarificato).
In tempi recenti, dato il sapore, anche il sale kalam namak, tipico della cucina indiana e raccolto sull’Himalaya, dal tipico sapore che ricorda lo zolfo, è stato preparato con assafetida e utilizzato nella cucina vegana come sostituto dell’uovo. Ho trovato solo un esempio in rete, quindi sarebbe interessante produrre sale marino grezzo integrale con polvere da granuli di gommoresina di Opopanax, per il medesimo risultato.

L’assafetida viene utilizzata molto dal punto di vista medicinale, in quanto ostacola la crescita della microflora intestinale, riducendo così la flatulenza. Ha un ampio utilizzo nella medicina tradizionale come antimicrobico, con casi ben documentati per il trattamento di bronchiti croniche e pertosse.
Le è attribuito, inoltre, un potere contraccettivo e abortivo (come per molte specie della stessa famiglia) e, in questo contesto, è considerata un sostituto meno efficace di un’altra pianta del genere Ferula, il silfio, che si considera ormai estinto.

In realtà il silfio è stato identificato proprio con una rarissima Ferula dell’Anatolia, con caratteristiche molto simili. Era un’antica pianta considerata una vera e propria panacea, consumata dalla maggior parte delle antiche culture mediterranee e ritenuta estinta, che però di recente sembra esser stata ritrovata in Turchia. Il silfio è descritto nei testi greci, romani e persino egizi di migliaia di anni fa, e si pensava che fosse stata portata all’estinzione dalla raccolta indiscriminata circa 2000 anni fa.
Nell’antichità classica era utilizzato come condimento, profumo, afrodisiaco, medicina e persino come contraccettivo. La pianta cresceva principalmente nell’antica città di Cirene in quella che oggi è la Libia nell’Africa settentrionale, e divenne l’oggetto di commercio più ambito della città, con monete cirenaiche recanti l’immagine della preziosa pianta (esattamente come avveniva con Foeniculum vulgare a Maratona e con Petroselinum a Selinunte), l’unica immagine conosciuta dell’antica pianta.
Storici e botanici avevano cercato la pianta per centinaia di anni, ma tutti gli sforzi fallirono e furono costretti ad accettare la teoria secondo cui la pianta sarebbe stata raccolta fino all'estinzione. Ma un ricercatore dell'Università di Istanbul crede di aver riscoperto l'antica pianta del silfione su una montagna in Turchia, a centinaia di miglia dal suo habitat naturale. Il professor Mahmut Miski, 68 anni, specializzato in farmacognosia, lo studio di medicinali prodotti da fonti naturali, ha svolto ricerche sulla pianta per decenni e crede che la pianta di ferula drudeana che cresce sul Monte Hasan in Anatolia abbia fortissime somiglianze con l'elusivo silphion. Altre somiglianze tra silphium e Ferula drudeana identificate da Miski includono un difficile processo di coltivazione, che costringeva gli antichi contadini a raccogliere la pianta allo stato selvatico. I tentativi di coltivare il silfio in Grecia, ad esempio, non hanno avuto successo. Questo fa sorgere la domanda: come potrebbe l'antica pianta farsi strada dal Nord Africa alla Turchia? Il team di Miski ha scoperto che la Ferula drudeana può essere coltivata in condizioni controllate. Sottoponendo i semi della pianta a condizioni fredde e umide, sono stati in grado di coltivare la pianta in una serra. Inoltre, secondo Miski, la Ferula drudeana può essere trovata in due località della Turchia dove si sa che le antiche comunità greche si erano stabilite, sollevando la possibilità che portassero con sé la pianta. La comunità scientifica tende a concordare sul fatto che la Ferula drudeana coincide fortemente a tutto ciò che sappiamo sulla pianta del silfio. [8]

L’assafetida fu utilizzata nel 1918 per combattere la pandemia di influenza spagnola: gli scienziati della facoltà di medicina di Kaohsiung (Taiwan) hanno affermato che le radici di assafetida contengono composti antivirali naturali che uccidono anche il virus della H1N1, la cosiddetta “influenza suina”. Ciò è stato confermato in un articolo pubblicato sull’American Chemical Society’s Journal of Natural Products, in cui si indica che tali composti potrebbero essere utili per lo sviluppo di un nuovo medicinale contro questo tipo di influenza.

Ferula assa-foetida è una specie di Ferula endemica dell’Iran meridionale. È una fonte di assafetida ma non la fonte principale. La produzione della spezia da questa specie è limitata all’Iran meridionale, in particolare l’area vicino Lar.
Al di fuori del suo areale nativo, altre specie produttrici di assafetida sono erroneamente identificate spesso come F. assa-foetida. Ad esempio, F. foetida è scambiata per F. assa-foetida in Flora della Russia e nella Flora del Pakistan.
In uno studio filogenetico molecolare, tutti i campioni vegetali di F. assa-foetida raccolti nell’Iran centrale non erano la vera specie, ma F. alliacea e F. gabrielii o loro stretti affini.
Le analisi chimiche dei campioni di assafetida ottenuti dai mercati locali dell’Iran orientale hanno anche mostrato che le specie da cui la spezia era prodotta erano F. lutensis, F. foetida, F. alliacea.
F. pseudalliacea e F. rubricaulis sono endemiche dell’Iran occidentale e sud-occidentale, e a volte sono considerate conspecifiche con F. assa-fetida.

Come per Opopanax, anche l’asafoetida si presenta come un lattice cristallizzato in forma di sassolini di color crema scuro. L’odore, come indicato dal nome, è forte e spesso sgradevole al primo impatto.
Ancora oggi il lattice si ottiene dai rizomi della pianta spontanea.
Si potrebbero effettuare analisi di laboratorio e capire se la resina estratta dalla Ferula murgiana e pugliese in generale potrebbe, una volta essiccata, essere sicura per la commestibilità e utilizzabile in cucina.
Poiché una volta seccata la resina è difficile da grattugiare, si trova solitamente in vendita già in polvere, con l’aggiunta di amido di riso per prevenirne l’agglomerazione e per un dosaggio più facile, dato che l’intensità dell’odore ne impone un uso in quantità moderata.
È molto utilizzata nella cucina indiana perché tradizionalmente consumata da alcune caste in cui è proibito l’uso dell’aglio e della cipolla perché ritenuti cibi impuri. Si potrebbe pertanto utilizzare anche per chi è intollerante al genere Allium.
In cucina, si polverizza finemente al mortaio una piccola quantità di spezia e si aggiunge all’olio bollente facendola soffriggere per pochi secondi (solitamente o eventualmente insieme ad altre spezie), aggiungendo in seguito ingredienti freschi a seconda della ricetta.

Fonti bibliografiche:

[1] Opopanax chironium, Germplasm Resources Information Network, Agricultural Research Service, United States Department of Agriculture

[2] Remington, J.P.; Wood, H.C. (1918), The Dispensatory of the United States of America (20th ed.), Philadelphia & London: J.B. Lippincott Company: 1526

[3] http://botanical.com/botanical/mgmh/o/opopon10.html

[4] Remington (1918)

[5] Traduzione dell’autrice.

[6] Traduzione dell’autrice.

[7] A. Önder, L. Nahar et al., Phytochemistry, Traditional Uses and Pharmacological Properties of the Genus Opopanax W. D. J. Koch: A Mini-Review, giugno 2020, Pharmaceutical Sciences 26(2):99-106, DOI: 10.34172/PS.2020.8

[8] Post del Prof. Pietro Medagli del settembre 2022.


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